Mixology: quando i cocktail sono un'arte

di Marianna Pascarella (aggiornata il 21-08-2017)

L’ultima tendenza del bartending si chiama mixology ed è una tecnica che somiglia quasi all’alchimia, vista la meticolosità con cui vengono miscelati gli ingredienti. Scopriamone di più.

Mixology: quando i cocktail sono un'arte

L’ultima frontiera del mondo dei cocktail si chiama mixology e ha trasformato la pratica di miscelare i drink in una vera e propria arte ai confini con l’alchimia. Possiamo dire, infatti, che la mixology rappresenti per il mondo dei drink quello che la cucina gourmet rappresenta per quello del food: si tratta di una pratica raffinata e, se vogliamo, seriosa, che punta a ricreare un’esperienza di degustazione raccolta, unica e totalizzante, che coinvolga tutti i sensi di chi beve un cocktail.

 

La tensione è quindi verso il cocktail perfetto e gli occhi sono tutti puntati sul suo creatore, il mixologist, capace di catturare l’attenzione di chi attende con trepidazione le sue preparazioni. A rapire gli occhi degli avventori, però, non sono i movimenti spettacolari e le mosse rapide e acrobatiche tipiche dei flair barman (quelli che lanciano in aria i mixer, si passano le bottiglie dietro la schiena e preparano anche dieci drink in simultanea, per intenderci), ma gesti lenti e misurati degni di un alchimista del terzo millennio, quasi sempre accompagnati da spiegazioni eleganti e affascinanti su come assaporare al meglio la bevanda proposta.

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Pur essendo esploso solo di recente, però, il mestiere del mixologist e la mixology in generale non sono affatto nuove come possono sembrare ad un orecchio poco esperto, ma risalgono molto indietro nel tempo. Quanto in là? Le opinioni sono contrastanti.

Le origini della mixology

Analizzandola dal punto di vista della semplice esecuzione, ovvero il miscelare liquidi diversi per ottenere bevande diverse, la mixology esiste fin dall’antichità, basti pensare al vino allungato con acqua e insaporito con miele e aromi che erano soliti bere gli antichi Romani.

Bisogna arrivare però alla rivoluzione industriale per raggiungere un certo grado di perfezionamento delle tecniche di distillazione che ha reso possibile lo sviluppo della liquoristica prima in Europa e poi nel mondo e, di conseguenza, la nascita del bartending ai quattro angoli del globo.Mixology, l'ultima tendenza del bartending 2

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È in quel periodo che la cultura del bere si diffuse ovunque, contribuendo a influenzare le culture popolari e a sviluppare stili di miscelazione che ancora oggi vengono praticate con un gusto un po’ vintage e ricercato.

Per questo, moltissimi datano la nascita della mixology (e del flair bartending) all’Ottocento e riconoscono il papà di questa disciplina in Jerry Thomas (1830-1885), barista di New York conosciuto anche con il nomignolo di Professore, proprio per la sua capacità di creare drink mixando ingredienti diversi con una abilità che pareva sfociare nella chimica.

Thomas contribuì a inventare e creare alcuni dei più celebri strumenti del mestiere, in parte utilizzati anche oggi, ad esempio i dosatori metallici (metal pour) che permettono di versare con grande precisione determinate quantità di liquido da una bottiglia.

Nel 1862, Jerry “The Professor” Thomas scrisse The Bar-Tender's Guide. How to mix Drinks, un manuale del perfetto barista che vanta il record di essere stato il primissimo libro sui cocktail mai pubblicato negli USA. Il volume raccoglieva – e codificava affidandole ai posteri – tutte le ricette di cocktail da lui conosciute, mettendo insieme alcuni grandi classici dell’epoca con le sue creazioni più originali.

Da Jerry Thomas ad oggi il mestiere del mixologist ha conosciuto alterne fortune, ma negli ultimi anni ha riscontrato un exploit senza precedenti, grazie al desiderio sempre più grande di assaporare cocktail unici e studiati, che sappiano mettere insieme lo studio del passato e le tecniche più moderne.Mixology: quando i cocktail sono un'arte

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